Il drappellone di Tommaso Andreini è, non so quanto consapevolmente, il più chiaro specchio dei tempi contemporanei che Siena abbia avuto negli ultimi molti anni. Forse non è poi un paradosso che sia proprio un pittore senese ad incarnare così bene il presente vissuto dalla città e dalla Festa, bene come forse nessuno straniero, nessun artista collaudato, nessun pittore di fama o di esperienza avrebbe potuto incarnare. Andreini legge perfettamente il tempo attuale e lo trasporta sulla seta, regalando a Siena un Palio apprezzato dai contradaioli che in lui, d’altronde, si ritrovano e quindi si stringono a coorte.
Ovvero: il Padiglione Conolly e il governo della bellezza
Circa un anno fa si concludeva l’avventura di Siena e il suo doppio. Percorsi nel passato e letture del presente attorno a San Niccolò Città dei Matti, un seminario di teoria e critica della cultura che muoveva da una duplice congiuntura: la ricorrenza del quarantennale di Sorvegliare e punire, il celeberrimo volume di Michel Foucault dedicato alla nascita e allo sviluppo delle tecnologie di contenzione, e la presenza, nel cuore di Siena, di una delle cittadelle manicomiali più estese e significative d’Italia, corredata di uno dei rari esemplari europei ancora (più o meno) integri di Panopticon (Padiglione Conolly), il carcere criminale ideato dal giurista e architetto Jeremy Bentham alla fine del XVIII secolo e considerato da Foucault la matrice per eccellenza dell’ideale disciplinare.
L’incontro/scontro fra una riflessione teorica generale e la storia senese ha prodotto l’esperienza di ricerca più intensa della mia travagliata e precaria vita accademica. Due le figure locali che più di tutte hanno segnato la mia iniziazione: la storica della medicina e oggi assessore alla cultura Francesca Vannozzi, che ne ha minuziosamente ricostruito la storia e le cronache, e lo storico-testimone Gino Civitelli, More…
ovvero, breve riassunto di quello che (non) è successo a Siena grazie all’Art Bonus.
Quando il ministro Dario Franceschini lanciò l’Art Bonus (era il 2014) sembrava una soluzione geniale per combattere la sempiterna carenza di fondi pubblici e ministeriali da destinare allo smisurato patrimonio artistico nazionale e, al contempo, dare una buona chance di visibilità e marketing a tutte quelle aziende italiane dotate di gambe solide e voglia di farsi belle valorizzando la bellezza. Tutti ricordavamo, d’altronde, di quando Della Valle voleva finanziare il restauro del Colosseo ma non poteva a causa di cavilli e codicilli : alla fine ci riuscì (LEGGI) ma ancora oggi continua a raccontare la trafila che dovette affrontare tra burocrazie e uffici. Ecco qua, d’ora in poi sarà tutto più semplice. L’Italia non aspettava altro.
Dove si torna a fare una ricognizione di spazi e di riuso pubblico degli stessi
Cosa hanno in comune Milano, Pisa, Pistoia, Prato, Montepulciano, Certaldo, Bologna, Cesena, Russi, Ravenna, San Marino, Messina e chissà quante altre realtà territoriali più o meno grandi? Sono alcune delle città, le prime che mi sono venute in mente o che compaiono con una semplice ricerca su Google, che hanno messo in piedi un progetto di riuso a fini culturali e creativi dei loro ex macelli comunali.
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