È quasi dicembre. Rassegniamoci. Per quanto io sia tra quelli che preferirebbero di gran lunga evitare l’argomento e, anzi, saltare direttamente al 7 gennaio, pare che in questo nostro mondo civilizzato sia obbligatorio farci prendere dagli spasmi del Natale. E quindi sì, è quasi dicembre e allora fiato alle trombe, iniziamo febbrilmente a decantare il magnificente programma natalizio che ci attende. “La carica dei 350 eventi per vivere la città” è quanto promette il cartellone unico del Comune, promosso dall’assessorato al Turismo e finanziato da Banca Monte dei Paschi. Due mesi, fino al 31 gennaio 2017 (ma queste feste natalizie non duravano già abbastanza..?), settanta soggetti coinvolti e, appunto, 350 eventi tra musei, mercati, degustazioni, concerti, cori, itinerari e l’immancabile Francigena che è come il nero, sta bene su tutto.
Il drappellone di Tommaso Andreini è, non so quanto consapevolmente, il più chiaro specchio dei tempi contemporanei che Siena abbia avuto negli ultimi molti anni. Forse non è poi un paradosso che sia proprio un pittore senese ad incarnare così bene il presente vissuto dalla città e dalla Festa, bene come forse nessuno straniero, nessun artista collaudato, nessun pittore di fama o di esperienza avrebbe potuto incarnare. Andreini legge perfettamente il tempo attuale e lo trasporta sulla seta, regalando a Siena un Palio apprezzato dai contradaioli che in lui, d’altronde, si ritrovano e quindi si stringono a coorte.
Dove si propone di bloccare il percorso da brillante promessa a solito stronzo
Un festival, una rete nazionale, un progetto che è nato a Siena e che coinvolge nomi, compagnie ed esperienze da tutta Italia. Abbiamo più volte sottolineato il momento di disorientamento che sta vivendo il mondo del teatro a Siena: spazi inadeguati, teatri sottoutilizzati, risorse inesistenti, ruolo dei tavoli, distanza dalle istituzioni regionali e cittadine. Adesso però siamo nel pieno della settimana di “Inbox dal Vivo” che la compagnia teatrale Straligut regala alla città come evento finale del loro progetto di concorso rivolto alle compagnie teatrale italiane. Noi abbiamo la possibilità di vedere i dieci finalisti selezionati tra i 451 spettacoli in gara; il premio (tributato da giurie di esperti e popolari) consiste in 50 repliche dello spettacolo assicurate all’interno della rete dei teatri Inbox (15 per il teatro ragazzi). Si parla di compagnie emergenti, di chi sta seguendo un percorso di crescita per emergere e diventare grande. More…
Da un grande potere derivano grandi responsabilità. Quindi, d’ora in poi, esercenti e gestori di locali senesi a voi vanno oneri e onori. E’ stato approvato ieri notte (sì, avete letto bene, notte) il nuovo Regolamento comunale che disciplina i pubblici spettacoli: una norma necessaria per spazzare via e aggiornare una legislazione obsoleta, datata 1996 e aggiornata nel 2005, prima ancora che la liberalizzazione arrivasse a cambiare usi e costumi (e orari) degli esercizi pubblici.
Sgombriamo il campo: io in centro ci abito. So bene, dunque, cosa significa. Sono consapevole dei suoi aspetti stupendi e delle sue criticità. Insomma, lo tocco con mano, ogni giorno. Mi godo la luce indescrivibile dei tramonti, quando le rondini segnano il cielo di primavera a contrasto con il marmo che luccica, e bestemmio dietro agli incivili che vomitano e usano il portone di casa mia come orinatoio a cielo aperto; assaporo il rumore dei miei passi sulle lastre, quando in giro non c’è nessuno, e impreco contro gli ubriachi che alle 4 del mattino berciano improbabili canzoni stonate barcollando verso casa. Insomma, so di cosa parlo. Lunedì sera ero, come tantissimi, alla serata di chiusura di Un Tubo: c’ero perché è un luogo che mi piace e che ho sempre sostenuto, c’ero perché esserci significava anche lanciare un messaggio.
(Lettera aperta al professore Vedovelli, assessore alla cultura del Comune di Siena, per invitarlo a vedere Luca Nostro Quartet il prossimo lunedì 4 aprile, ultimo concerto del locale Un Tubo prima della sua definitiva chiusura)***
Egregio assessore, le parlerò di una sindrome. Raccontano in città che il padre di Tozzi, a quanto pare, fosse un uomo burbero, un tipo po’ manesco. Come dire, un gazzillòro venuto qui da Pari e più che mai convinto che il figliolo fosse veramente un buono a nulla. Un minorato mentale secondo lui. Un tipo che avrebbe fatto meglio a zappare la terra invece che scrivere romanzi. A me capita spesso di passeggiare nei luoghi di Tozzi dentro e fuori questa città, e di provare un forte imbarazzo. È in questi momenti che penso alla sindrome, di cui non dirò ora ma ne accennerò più avanti, se avrà la pazienza di leggermi fino in fondo.
Mi trovato a discutere pochi giorni fa su una questione di lana caprina, una discussione inutile con risultati trascurabili. Insomma di quelle discussioni che alla fine ci divertono e che non cambieremmo con un seminario di premi Nobel. L’oggetto del certamen: la musica popolare è antistorica e reazionaria. Che ora detta così è una bestemmia bella e buona ma attenzione a prenderla alla leggera: se si parla di un passato agricolo, se si fa nostalgia di un mondo lontano dal progresso si viene tacciati di fascismo da lontano. Se lo si fa in musica invece siamo popolari e folk. Se lo fa José Bové è un criptofascista se lo fa Giovanna Marini è la compagna Marini che canta le lotte popolari.
E cominciamo col mettere le mani avanti e mostrare le credenziali. Non ho cambiato idea rispetto all’ultimo articolo e riporto quello che penso ed ho sempre pensato sulla commercializzazione dell’offerta culturale cittadina ad opera di una società privata: “E non venite a dirci: son riusciti a fare quello che altri non hanno fatto. Chiediamoci se nel “non fare” degli altri poteva entrarci qualcosa la dimenticata necessità di mantenere il buongusto. Chi fa programmazione culturale ha questo obbligo morale, chi fa marketing, ovviamente no”.
Questo dicevo e questo continuo a pensare. Credenziali mostrate.
Detto questo non sposo le polemiche inutili e preventive sull’operazione “Divina Bellezza” organizzata da Opera-Civita per il Museo dell’Opera del Duomo in piazza Jacopo della Quercia. Non lo sposo proprio perché si tratta di operazione di marketing turistico, mi auguro ben fatto per altro, ma questo lo sapremo a stagione finita.
Non mi piacciono le critiche per partito preso. Sono il primo a contestare il potere che la città sta dando ad una società privata nel campo della progettazione culturale, ma in questo caso si parla d’altro. More…
Tutto quello di cui non abbiamo parlato
No, non siamo morti e non siamo neppure in ferie. Sapete che c’è? Parlare di cultura stanca. Parlare di cultura in una città dove questo argomento è dibattuto in modo continuo e spesso in profondità soltanto però per motivi strumentali mi fa sentire inadeguato, mi spinge a zittirmi, a pormi laterale.
Eppure in questi mesi ne avremmo avuti di argomenti: il solito post sul drappellone per esempio, ma anche un bella presa di posizione un po’ più intelligente di quelle sentite fino ad oggi sulle parole dell’etologo e divulgatore Danilo Mainardi (perché ironizzare su Mainardi chi? o “tale Mainardi”, mette solo in luce la nostra ignoranza, non la sua) perché è innegabile che non può non farci porre domande serie un periodo come questo: “Il parterre di piazza del Campo nel corso del Palio riunisce individui ingenuamente convinti di essere parte di un evento culturale, mentre non sono altro che folla unita momentaneamente nel consumo di un rito…E in nome della «supposta» tradizione culturale, continuano a essere praticate e difese abitudini ormai anacronistiche”. Parliamone del fatto che il Palio stia diventando il consumo di un rito anacronistico, senza indignarsi preventivamente, proviamo a scomporre queste parole e diamo loro un senso. More…
Ci siamo chiesti spesso se esistesse una politica culturale dell’amministrazione comunale, oggi invece abbiamo finalmente capito che ci ponevamo la domanda sbagliata. La giusta è: esiste qualcuno che si occupa delle politiche culturali assumendosene delle responsabilità? Sì perché, troppo spesso, abbiamo attaccato l’assessore Vedovelli quando invece lui ha dichiarato con i fatti di non volersi assumere la responsabilità delle scelte politiche in campo culturale, giusto o sbagliato che sia (per me sbagliato, l’ho detto) ha perseguito altre forme: tavoli parlanti e scriventi (copyright Roberto Barzanti), Stati generali, bandi pubblici. Oggi queste formule gli si ritorcono contro, ma non per responsabilità sua ma della macchina amministrativa, presupponiamo. More…
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