Ok. Siamo (forse) fuori tempo massimo. Degli Stati generali della cultura abbiamo parlato e ascoltato tutti quanti: molte osservazioni, molti punti di vista, molto di tutto. Noi della BombaCarta abbiamo cercato di farne una cronaca in tempo più meno reale grazie al live twitting tramite il nostro profilo (non siete ancora nostri follower?? malissimo. followateci qui!) ma è giunto comunque il momento di tirare un po’ le somme.
Lo farò, così, per punti, tentando di riassumere le questioni. Dunque. Partiamo dalle buone notizie.
Cosa mi è piaciuto degli Stati generali
La partecipazione, innanzitutto. La città ha risposto. Oltre 330 iscritti ai tavoli di lavoro, sono un bel risultato in una città che ha tanti problemi, tanti nodi irrisolti, tante, troppe invidie e gelosie e veti incrociati ancora legati al vecchio adagio “se c’è lui io non vengo”. In questo caso ci sono stati più o meno tutti – e, permettetemi di dirlo, chi non c’era ha perso un’occasione – e per una volta si è creata la possibilità di mettere in dialogo realtà anche molto diverse; dalla grandissima istituzione (Opera del Duomo, Chigiana, Fondazione Musei Senesi) alla piccola, piccolissima associazione o addirittura singolo operatore o – perché no – semplice appassionato. Gente che in altre situazioni ha pochissime possibilità di dialogo. Questo è un bene.
Poi, il contesto. Vedere il Santa Maria della Scala affollato ma, soprattutto, vivo mi ha fatto bene al cuore. C’era un’energia positiva, un viavai intelligente di persone che si muovevano e si fermavano e si incrociavano con uno scopo. Era tantissimo tempo che non percepivo il Santa Maria come un luogo reale, realmente vissuto da una comunità (e senza bisogno di attirare gente con la zumba!).
Infine, lo spirito. Non ho potuto seguire i singoli tavoli per ragioni professionali, ma ho parlato con molta gente e nella maggior parte dei casi ho percepito soddisfazione per lo spirito propositivo e scarsamente polemico con cui gli operatori e i partecipanti hanno, appunto, partecipato. Il che, a Siena, farebbe quasi gridare al miracolo.
Ora, le note dolenti.
Cosa non mi è piaciuto degli Stati Generali
Il preambolo. Io capisco le necessità istituzionali, ma quasi tre ore di interventi introduttivi sono oggettivamente troppe. Non era la giornata adatta. Non era il luogo adatto. Non era – o non sarebbe dovuta essere – un’occasione politica. È stato poco rispettoso degli operatori che erano stati chiamati a partecipare, ad essere protagonisti, e a cui invece è stata sottratta un’ora buona di lavori. Oltre tutto – non lo dico io – la soglia dell’attenzione umana è bassa e rapida: dopo tre ore non ascolta praticamente più nessuno. Nemmeno se il direttore generale della Fondazione Monte dei Paschi dichiara urbi et orbi di voler fondere la Fondazione Musei Senesi con Vernice.
La preparazione. C’erano stati, sì, degli incontri preparatori ma non per tutti e non tutti uguali e, evidentemente e necessariamente, non con tutti coloro che poi hanno davvero partecipato ai tavoli. Il che significa che non c’era una linea tracciata, non c’erano una riflessione condivisa da cui partire, una direzione precisa verso cui muoversi. È oggettivamente impossibile, con queste premesse, che da poco più di tre ore di lavori esca qualcosa di concreto. La gente ha bisogno di annusarsi, inquadrarsi, conoscersi, tastare il polso l’uno dell’altro, prima di mettere le mani in pasta. Andava fatto prima, o diversamente, magari partendo da una progettualità che esiste davvero (qualcosa di Siena 2019? Non sarà mica tutto da buttare…) e forse i risultati sarebbero stati più concreti.
InContemporanea. Ovvero l’allestimento del fondo ex Papesse che è stato inaugurato sabato, ma che giovedì pomeriggio era in preview (insieme al progetto Grand Hotel). Non fraintendiamo: mi sono piaciuti entrambi, ma sono stati ‘buttati via‘. Perché nessuno se ne è accorto, nessuno ha chiamato a raccolta il pubblico mentre i percorsi venivano svelati nella cappella del Manto a quei pochi che se ne erano resi conto. Oltre tutto era un momento di pausa, in cui i coordinatori dei tavoli stavano lavorando alle conclusioni e prima dell’intervento dell’assessore Nocentini: con un po’ più di coordinamento e attenzione tutti quelli che erano lì, in attesa, avrebbero potuto godere di questa piccola grande, novità.
Infine. Su cosa dobbiamo necessariamente sospendere il giudizio
Sui risultati. Perché per adesso sono incommentabili. Gli Stati generali per come si sono svolti sono stati in parte un successo ma sono, adesso, anche una patata bollente nelle mani dell’amministrazione. La partecipazione della città ha consegnato a Palazzo Pubblico una grande responsabilità: se tutto questo patrimonio sarà gestito nel modo giusto – se sarà davvero una tappa di un percorso, come ha più volte ribadito l’assessore Vedovelli – allora la giornata avrà avuto un senso. Non so come questo sia possibile. Non ho mai creduto nei tavoli ‘permanenti’ perché l’entusiasmo si spegne, le persone cambiano ed è difficile tenere le fila. Né d’altronde possiamo immaginare di fare gli Stati generali tutti i mesi che, per usare una battuta, qui c’è gente che deve lavorare. Quindi, come portare avanti il percorso? Non lo so.
Ma so che va fatto. Se finisce tutto qui, altrimenti, sarà stata una giornata che abbiamo buttato via. Un contentino inutile a chi chiedeva di essere interpellato, una scorciatoia politica per fare come si vuole, avendo però le spalle coperte per aver chiesto l’opinione altrui. Non voglio credere a questa seconda ipotesi.
Giulia Maestrini
ps – prima che qualcuno ce lo chieda, sì, abbiamo fatto i compiti e anche i conti in tasca. Gli Stati generali della cultura sono costati, circa, 15mila euro – inseriti nel capitolo “Spese musei” del bilancio di esercizio 2015 dell’amministrazione comunale – divisi sostanzialmente in spese di comunicazione e pubblicità; ripresa, regia, service e montaggio per la diretta; pranzo per gli ospiti e un paio di rimborsi spese per i relatori. I costi sono tutti dettagliati in due atti dirigenziali (questo e questo).
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