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Idee

Facciamo un macello!

1 Giu , 2016  

Dove si torna a fare una ricognizione di spazi e di riuso pubblico degli stessi

Cosa hanno in comune Milano, Pisa, Pistoia, Prato, Montepulciano, Certaldo, Bologna, Cesena, Russi, Ravenna, San Marino, Messina e chissà quante altre realtà territoriali più o meno grandi? Sono alcune delle città, le prime che mi sono venute in mente o che compaiono con una semplice ricerca su Google, che hanno messo in piedi un progetto di riuso a fini culturali e creativi dei loro ex macelli comunali.

Ovunque, al momento di dover abbandonare le gestioni pubbliche e centralizzate dei macelli, questi enormi spazi sono rimasti vuoti, abbandonati, poi in alcuni casi si sono messe in atto scelte di riuso legate all’aggregazione ed all’espressione artistica: perché non a tutti piace vedere i propri patrimoni immobiliari abbandonati o in rovina. In alcuni casi questi percorsi di riuso sono iniziati con delle occupazioni, in altri con veri e propri bandi di gestione ed ideazione. In ognuno di questi casi gli ex macelli sono diventati uno spazio risanato, l’immobile ha acquisito valore ed i consumi culturali cittadini sono cresciuti e si sono diversificati. In alcuni di questi casi (pensiamo al Macao di Milano, che un tempo ospitava l’asta delle carni) questi spazi sono anche diventati incubatori di creatività, luoghi di produzione e di condivisione tra le diverse professionalità che compongono il vasto mondo della produzione e della promozione culturale, sono diventati autonomamente degli aggregatori di start-up, senza bisogno di delibere e di discorsi ufficiali.

Ho elencato i macelli perché realmente sono in ogni città di media grandezza, ma l’esempio si potrebbe allargare ai tanti edifici dismessi che ospitavano ospedali, uffici, caserme. Le nostre città sono strozzate dalle nuove urbanizzazioni da una parte e da edifici dismessi ed abbandonati dall’altra, un progetto sensato di riuso evita il decadimento ed al tempo stesso risponde alla domanda di spazi che molto spesso viene fatta dagli operatori culturali ed in generale da un pubblico di prosumers. Anche Siena, che non ha un passato industriale degno di nota, non è del tutto priva di questa tipologia di spazi: alcuni privati chiaramente, altri pubblici. Pensiamo tutti, parlando di industrie abbandonate, alla torre di Isola d’Arbia (che in passato era al centro di progetti di questo tipo, almeno per tutto il primo mandato Cenni se ne è parlato concretamente), ma anche al mulino Muratori di Taverne d’Arbia, la Siena Petroli in via Esterna Fontebranda, il garage Bassi in via Camollia, gli ex archivi Mps in Pian d’Ovile, lo spazio enorme dell’ospedale Salus a porta Laterina o la vecchia sede della Pubblica Assistenza in via del Paradiso. Spazi privati abbandonati o utilizzati in parte. Mi direte: spazi privati, appunto. Ma spazi che hanno bisogno di una nuova classificazione urbanistica e soprattutto di un restauro accurato, dove se volessimo pensare ad una collaborazione pubblico-privato l’accordo non sarebbe impossibile, magari attraverso una project financing o ad un recupero parziale per fini pubblici a scomputo di oneri di urbanizzazione. Non sono un esperto in materia, ma altrove funziona.

Poi ci sono gli edifici pubblici. Le ex caserme per esempio, il palazzo della Provincia (ex provveditorato) in piazza Amendola, o l’area verde della piscina dove forse la tensostruttura prevista per la fortezza avrebbe avuto meno difficoltà ad essere installata, o perché no di nuovo le ex circoscrizioni (che è impensabile chiudere davvero la partita Mercatino rionale di Camollia con la concessione alla contrada dell’Istrice), il Santa Teresa o l’Istituto Pendola, l’ex sanatorio del Fosso di Sant’Ansano dove ci sono uffici distaccati del Comune. Chiaramente per tutto questo serve un investimento, un’idea che riesca a sostenersi nel futuro ma anche un finanziamento iniziale per rendere fruibili gli spazi, ristrutturarli e garantire loro un’agibilità di pubblico spettacolo. Ma è quello che ovunque è stato fatto. Magari abbiamo meno disponibilità e possibilità di intervento rispetto a Milano o Bologna (non era così anni fa però), ma non credo che il Comune di Siena abbia meno risorse del comune di Russi (dodicimila abitanti nella piana da Ravenna a Faenza), ma neppure di Certaldo, qua vicino a noi. Ci manca la volontà di ascoltare un bisogno che gli operatori hanno avanzato da tempo ( l’argomento degli spazi è al centro di tutti i tavoli dei comparti culturali) oppure quello di ricercare una soluzione che non sia una soluzione tampone, ma qualcosa di progettuale e duraturo.

Tutti noi, tutti i cittadini, dovremmo essere personalmente disturbati dall’abbandono, il semplice vedere spazi grandi, belli, con una storia alle spalle abbandonati a se stessi. A Bologna esiste un’associazione, Planimetrie Culturali, che cerca edifici abbandonati e, garantendo messa in sicurezza e sorveglianza, li utilizza a fini culturali ed artistici; dal suo progetto sono nati spazi importanti come il Senza Filtro ed altre esperienze simili. L’abbandono, il non uso, dovrebbe far male sempre, ancor più quando un bisogno di spazi collettivi c’è ed è richiesto. Spazi collettivi significa luoghi pubblici dove il confronto tra le espressioni artistiche sia all’ordine del giorno: un luogo dove operatori, artisti, appassionati e pubblico possano conoscersi, dialogare e progettare. Un luogo di produzione e di promozione al tempo stesso, dove allestire uno spettacolo, imparare ad utilizzare un linguaggio, formarsi ad un mestiere, scambiarsi idee, opinioni, iniziare un progetto comune ed infine assistere ad un concerto, ad uno spettacolo, ad una performance, ad una proiezione. Una casa dei linguaggi contemporanei, dove non si risolva tutto con l’evento, ma che sia a disposizione per la fase creativa e che metta in rete artisti e operatori di discipline e comparti diversi. Uno spazio per le residenze e, perché no, per l’aggregazione.

Ora, abbiamo iniziato l’analisi elencando i comuni che hanno riallestito gli spazi degli ex macelli non a caso, perché anche da noi ne abbiamo e sono disponibili. Ci sono gli antichi macelli chiaramente, quelli in parte recuperati in Fontebranda con la cittadella di SienaArtefice (progetto decisamente non decollato secondo i progetti iniziali) e poi ci sono quelli “contemporanei” di viale Toselli, uno spazio molto grande di proprietà della Camera di Commercio ed in uso al Comune di Siena (con scadenza di concessione nel 2021), che li ha dati in gestione al consorzio di trasportatori Cotas, ma che ne usa una percentuale minima, forse il dieci per cento. Andateci, è da lì che dobbiamo passare per fare un permesso auto per accedere al centro storico nel pomeriggio, è una città fantasma ed i capannoni appaiono come abbandonati. Cosa ne facciamo? Mi direte: scadendo la concessione nel 2021 nessuno vorrà investire nel recupero. Forse non il Cotas, ma il Comune perché no? In fondo la Camera di Commercio, vista anche la riforma camerale in corso, non credo abbia progetti faraonici e comunque basterà parlarne. Ci sono altri progetti per quel luogo? Se sì, bene, meglio così, siamo qui per ascoltarli. Se no invece parliamone assieme, mettiamo sul tavolo le esigenze degli operatori e le necessità dell’amministrazione, vediamo le buone pratiche attorno a noi e troviamo una soluzione per Siena. Cerchiamo una modalità di gestione e garantiamo una sussistenza economica e, soprattutto, inventiamoci un modo creativo per ristrutturare quegli spazi (al tavolo del Contemporaneo siedono anche architetti ed associazioni che si occupano di urbanistica) in modo certo e renderli a norma. Le risorse tecniche in un’amministrazione di novecento dipendenti non dovrebbero mancare.

Giuseppe Gori Savellini

ps- Le informazioni che abbiamo circa lo spazio degli ex macelli non provengono da fonti ufficiali, quindi possono essere inesatte. Io ho verificato da più fonti la loro veridicità ma chiaramente se l’amministrazione volesse darci informazioni di prima mano siamo a disposizione per ospitarle.

 

Nella foto, di Carlo Pennatini, Francesca Lettieri in “Revolution”, spettacolo della danzatrice e coreografa senese (con il contrabbasso di Silvia Bolognesi) nato e coprodotto con I-Macelli di Certaldo (con il sostegno di Regione Toscana e Ministero per i Beni e le Attività Culturali).

 

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