drappellone

Arte, Eventi, Idee, Siena2019

Il futurista non futuribile

27 Giu , 2014  

Abbiamo visto di peggio”. E su questo non c’è dubbio. Il Drappellone dipinto da Rosalba Parrini per il Palio del 2 luglio – presentato l’altro ieri nel Cortile del Podestà, con una cerimonia poco affollata e a tratti sbrigativa, ché giocava la Mens Sana e c’era da andare al palazzetto – non ha entusiasmato, né fatto gridare allo scandalo. Commenti divisi, come accade ogni santa volta (per fortuna non siamo tutti uguali!), ritmati dall’inevitabile “io lo prenderei anche bianco”. Tant’è.

Ai senesi piace perché è un Palio di pancia – colori accesi, della passione, regge bene il primo impatto visivo – e perché ci sono i cavalli (e coi cavalli, si sa, qui si casca sempre in piedi) e perche la Madonna è classica, tradizionale, e le bandiere delle contrade pure, e c’è la Piazza del Campo. Insomma, non rischia niente; è come il nero, sta bene con tutto. Un po’ cubista, un po’ futurista, un po’ d’avanguardia russa, quella dedica ai partigiani che si trasformano in stelle d’oro. Non è mica brutto, nel senso letterale del termine. Non è brutto.

Ma, soprattutto, “abbiamo visto di peggio”.

E’ sconsolante. Disarmante. E, se permettete, fa anche arrabbiare. Ci siamo ridotti a essere la città la cui filosofia è “abbiamo visto di peggio”. Non solo nel Palio, in tutto. Che è un po’ come dire “con quello che abbiamo buttato giù in questi anni, con tutto quello che ci hanno propinato e abbiamo consapevolmente e pacificamente digerito, questo che vuoi che sia…?”.
Che poi è vero. Ed è questo che disarmante.

Di questo Palio – con tutto l’enorme rispetto che posso portare alla sua autrice, che è pure una ex prof del ‘Galilei’ e a cui quindi sono legata a prescindere – contesto tre cose.

1. La scelta di un autore perché combatte contro una malattia (non lo dico io, è spiattellato sulla delibera di Giunta ed è stato gridato ai quattro venti, anche nei discorsi di presentazione). Non perché una persona con una malattia non debba o non possa fare qualsiasi cosa voglia, ma perché non può o deve farla per questo motivo. Questa non è tolleranza né apertura mentale; questa è una ghettizzazione al contrario che cela una sorta di senso di colpa e potrebbe addirittura trascendere nel vittimismo (che, per altro, non fa parte dell’autore in questione). La malattia è purtroppo una dimensione sempre privata, ma laddove è evidente a tutti che non possa diventare un motivo di discriminazione, non può neanche diventare un ‘plus’. Perché chi lo pensa – e lo usa in questo senso – è miope e anche, se mi permettete, un filino paraculo.

2. La scelta di un autore dilettante. Nel senso letterale, che si diletta in quello che fa. Che nella vita fa altro e poi si diletta in un’attività. Questa città è diventata, ahimè, la patria del dilettantismo. Soprattutto di questi tempi, giacché in preda dalla psicosi da crisi economica si vogliono fare le nozze coi fichi secchi e i dilettanti – guarda un po’ – costano meno dei professionisti (non è il caso del Palio, qui non si parla di soldi, ovvio). Il dilettantismo è il male. Non perché non sia giusto e sacrosanto che ognuno si diletti nel coltivare le proprie passioni, ma perché le passioni non devono e non possono essere legittimate istituzionalmente. Il fatto di avere tanta passione, in certi contesti, non basta.
Esempio: io ho tanta passione nel canto lirico. Sotto la doccia canto una Traviata da urlo (!). Se vado dal sindaco o dal governatore della Regione o dal ministro e chiedo, in nome della mia tanta passione, di farmi cantare la Traviata in Piazza del Campo in un evento pubblico con il patrocinio del Comune e della Regione e del Ministero, loro che fanno? Mi dicono di sì? Se mi dicono di sì, sbagliano. Punto.

3. Lo spreco di un’occasione. Premessa. Il Palio per i senesi è vita, passione, emozione e via andare con la solita tiritera, la sappiamo tutti, la viviamo tutti, l’abbiamo ripetuta cento volte ed è GIUSTA. Ma. C’è un piccolo ma. Al netto del gretto campanilismo – che si nasconde nei vari “via i turisti”, “chiudiamo le porte”, “via la Rai dal tufo” e compagnia cantante – il Palio è, facciamocene una ragione, immagine di Siena e suo volano culturale, economico, turistico e di promozione. Nell’anno in cui lottiamo per diventare Capitale Europea della Cultura, non era magari il caso di concentrarsi un nanosecondo e provare a usare anche il Palio come un’occasione per veicolare l’eccellenza di Siena? Il suo (presunto) spirito innovativo, la spinta verso la rinascita culturale, la volontà di contaminarsi all’Europa aprendo le proprie porte (mentali) e tutte le belle cose che ci raccontiamo sperando che la giuria internazionale ci creda? Ecco. Magari poteva essere un’occasione, usare questo riflettore puntato sulle nostre facce per dimostrare al mondo che ci guarda – e ora il mondo culturale europeo ci guarda davvero – di che pasta siamo fatti. Come prendiamo le nostre decisioni. Su quali linee di sviluppo investiamo. Come vediamo il nostro futuro.

Peccato.

Detto questo, signori miei, la terra in Piazza, il Palio è presentato, domenica danno i cavalli e a Siena siamo tutti in subbuglio. Bello o brutto che sia, “io lo piglierai anche bianco” (amen). Divertitevi. Del resto, “abbiamo visto di peggio”. In tutti i sensi.

Giulia Maestrini

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