Il drappellone di Tommaso Andreini è, non so quanto consapevolmente, il più chiaro specchio dei tempi contemporanei che Siena abbia avuto negli ultimi molti anni. Forse non è poi un paradosso che sia proprio un pittore senese ad incarnare così bene il presente vissuto dalla città e dalla Festa, bene come forse nessuno straniero, nessun artista collaudato, nessun pittore di fama o di esperienza avrebbe potuto incarnare. Andreini legge perfettamente il tempo attuale e lo trasporta sulla seta, regalando a Siena un Palio apprezzato dai contradaioli che in lui, d’altronde, si ritrovano e quindi si stringono a coorte.
Per formalizzare la dedica alla Misericordia – imposta dal Comune nell’anno del Giubileo indetto da Papa Francesco – sceglie una figura che faticosamente ne sostiene un’altra: vorrebbero esserci la pietà, il mutuo soccorso, il volontariato, la solidarietà umana nel momento del bisogno. Ne esce, in realtà, una contorsione di copri slabbrati, senza teste né braccia, un quadro doloroso e addolorato, sofferente, che nonostante lo sforzo compiuto dagli angeli per sospingerli verso la Madonna, verso l’Eterno, sono destinatati a rimanere schiantati sulla terra, qui tra noi, dove la gloria non esiste, dove ci si sporca le mani quotidianamente, nel gorgo puzzolente della vita. Dove il cuore non basta.
Andreini non tradisce se stesso – e questo è un pregio – e confeziona un drappellone che parla di lui: tinte neutre che non richiamino le contrade (lo aveva dichiarato e lo ha mantenuto), richiami evidenti e altrettanto dichiarati al surrealismo e alla metafisica che sono un po’ la sua cifra. Un tratto pulito – di chi il pennello lo tiene in mano sovente e su soggetti precisi e definiti – e il fondo oro su cui posizionare gli stemmi che, da una parte, conferma e sostiene la neutralità delle tinte senza dare spazio al carillon dei colori, dall’altra rende (forse?) ipotetico omaggio alla pittura senese del Trecento e ai fondi oro che furono già di Simone Martini. La ‘rete’ che si intravede sotto i corpi lacerati – una sorta di anima di ferro come quella che sostiene la cartapesta sui carri di Viareggio – fa capolino qua e là, immancabile come in tutto il suo lavoro.
Ecco, è lì che Andreini legge davvero questa Siena, questa Festa. Nel momento in cui straccia la superficie patinata per vedere cosa c’è dentro. Nel momento in cui strappa l’involucro colorato per scoprire cosa nasconde. Non nasconde niente. Nasconde il vuoto delle idee che mancano, galleggianti sotto l’immagine incartata ad arte. Nasconde la contraddizione di una città che ha avuto la presunzione (fallita) di trasformarsi in capitale europea delle cultura, che ha la pretesa di mantenersi unica nella propria identità collettiva in un’era globalizzata che tutto abbatte e tutto travolge, che ha l’ambizione di farsi caposaldo di un nuovo modello culturale intelligente ma che invece continua ad annegare dentro ai vuoti nascosti sotto la propria superficie.
Abbandonata ormai, dichiaratamente, la volontà di utilizzare il drappellone come strumento di contaminazione con il contemporaneo, come veicolo di dialogo coi linguaggi espressivi internazionali e dunque come terreno di confronto tra le arti, Siena pesca un proprio figlio legittimo e proprio da lui, inaspettatamente, prende indietro lo specchio del proprio presente lacerato. La fotografia a tinte (tenui ma) fosche di un’età intermittente che non ha ancora fatto pace col passato ma che, al contempo, non ha ancora chiara la propria strada verso il futuro. Una composizione battagliera, sì, ma anche drammatica, addolorata, ansiosa al limite del tragico, ancor più incupita da quei cavalli dal corpo mangiato e spolpato, che mette definitivamente da parte l’aspetto gioioso e ‘leggero’ della Festa di popolo.
L’augurio è, chiaramente, che tutto quel dramma – giunto sulla seta nel momento forse più difficile della Festa contemporanea – resti cifra stilistica del pittore e nient’altro. L’altro augurio è che la città colga questo invito a stracciare finalmente la carta patinata della superficie e avere il coraggio di dirsi: il Re è nudo.
Giulia Maestrini
ps – nell’anno in cui Twitter ha sostituito la stella con il cuore e Facebook ha introdotto le tanto attese ‘reactions‘ (con il cuore, appunto)… poteva mancare il cuore? Ah, come siamo contemporanei! ❤️
ps 2 – l’immagine, che illustra la celebra favola di Hans Christian Andersen, è tratta dal web e non sono riuscita a risalire all’autore.
Giulia Maestrini sindaco.
Non esageriamo :)) (Giulia)