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Eventi, Musica

Quando ballare è atto politico sovversivo

20 Ago , 2015  

Mi trovato a discutere pochi giorni fa su una questione di lana caprina, una discussione inutile con risultati trascurabili. Insomma di quelle discussioni che alla fine ci divertono e che non cambieremmo con un seminario di premi Nobel. L’oggetto del certamen: la musica popolare è antistorica e reazionaria. Che ora detta così è una bestemmia bella e buona ma attenzione a prenderla alla leggera: se si parla di un passato agricolo, se si fa nostalgia di un mondo lontano dal progresso si viene tacciati di fascismo da lontano. Se lo si fa in musica invece siamo popolari e folk. Se lo fa José Bové è un criptofascista se lo fa Giovanna Marini è la compagna Marini che canta le lotte popolari.

Attenzione quindi, tema scottante. Facciamo un passo indietro, la musica popolare nasce nelle classi sociali lavoratrici, spesso la musica popolare che ci siamo tramandati è musica nata nei campi o son canti di lotta, spesso anarchici o di ispirazione socialista o sindacale. Detto questo è chiaro che la compagna Marini non fa altro che tramandare una tradizione che viene direttamente dalla nascita della sinistra politica che conosciamo. E quindi non c’è dubbio che la musica popolare provenga da sinistra. Il centro della discussione però non è l’attestato di nascita di questa musica, ma l’uso che ne facciamo oggi. A chi viene in mente nel 2015 di salvare e promuovere la musica popolare? E perché lo fa? Con intento nostalgico o con intento etnografico?

E finalmente veniamo al punto della questione, all’esempio che in provincia di Siena abbiamo: il festival di musica popolare Altraterra che ad Asciano arriva alla quarta edizione (comincia domani venerdì 21 agosto e finisce domenica 23, qua l’evento Facebook).

Il lavoro che i giovani volontari di Altraterra fanno ci fa riflettere su tante cose, non soltanto quelle stupidaggini che ho elencato ad inizio articolo, loro ci pongono davanti ad un altro interrogativo: la musica popolare oggi può essere ancora uno strumento di lotta? Se intendiamo lotta ad una omologazione culturale (che passa necessariamente dalla musica) la risposta non può che essere sì, un sì convinto.

La scelta di Nicola, Alessio, Lorenzo, Zeno, Eleonora, Melania, Matilde e i tanti di cui non ricordo il nome ma ho ben impressi negli occhi è una scelta politica, che va oltre il gioco che ho fatto tra destra e sinistra, tra reazione e progresso, e diventa scelta tra consapevolezza e non consapevolezza. Ricercare una musica diversa che mostri le differenze ma anche le tante “armonie” tra le regioni italiane è fondamentale per comprendere anche il senso del nostro Paese. Lo scorso anno ho compreso ad Asciano la differenza tra i canti dell’Amiata e quelli sardi o addirittura quelli genovesi. Differenze certo, ma anche le matrici comuni, spesso stesse storie e stesse canzoni. A seconda della tipologia di vocalizzo nel canto a cappella si differenziano le regioni, le province. Questo vuol dire che il nostro Paese ha tante differenze che concorrono ad una radice comune. Questo un altro il significato di Altraterra.

A titolo esemplificativo passiamo al ballo, che alla musica è strettamente legato: se negli ultimi anni abbiamo riscoperto la Pizzica, la taranta o addirittura balli d’oltreoceano come il tango o il mediterraneo flamenco è anche per la necessità umana di uscire dal suono indistinto. La musica come passione, ma anche come colore da dare alla nostra esistenza e tutti vogliamo un colore che sia più nostro, che sia solo nostro. Riscoprire la musica popolare e renderla nostra è come indossare con orgoglio la camicia di papà, l’orologio del nonno. Abbinare ad una gonna di sartoria la camicia della nonna o la borsa della zia pinza, per renderla solo nostra, un’opera originale (dove originale significa non “diverso a tutti i costi” ma nostro, unico ed essenza della nostra origine). Perché ballare significa giocare, ma giocare – come ci insegnano i bambini – è una cosa seria e passare una serata ad Altraterra è un modo per rendere originale il nostro gioco, che uscendo dalle metafore, è la nostra vita stessa.

Giuseppe Gori  Savellini

ps- il programma di Altraterra lo trovate sul loro sito. Non c’è solo la musica popolare, tra le scelte politiche degli organizzatori. Si mangia e si beve a chilometro zero, ci si sposta con bus navetta e si ripropone una riscoperta del territorio che parte davvero dal piccolo, dal territorio stesso.

 

L’immagine, buffa, è presa dal profilo facebook di Altraterra

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