(ma ci prova)
L’altro ieri sera, a tarda ora, mangiavo polentina con Violetta Bellocchio, chiacchierando di come avesse scelto lo stile linguistico e narrativo che caratterizza “Il corpo non dimentica” (il suo ultimo libro, edito da Mondadori). Polentina, stile linguistico e parrucchiere della Rai, giacché Violetta aveva ancora la messa in piega ‘cotonata’ perché era arrivata a Siena dritta dritta da Milano, dopo aver partecipato a un programma mattutino della Rai, appunto.
Dalla Rai alla polentina e, soprattutto, alle mie domande – che l’ora rendeva, diciamocelo, forse assurde – sullo stile narrativo: su quanto avesse attinto dal cinema, visto che dagli studi in ambito cinematografico lei proviene, e su quanto invece avesse voluto mettere nero su bianco la sensazione sconnessa e a volte faticosa di recuperare i ricordi di una vita che hai seppellito sotto litri di alcol.
No, vabbè, sto andando troppo veloce. Facciamo un passo indietro.
L’altro ieri sera, a tardo ora, io e un’altra ventina di persone eravamo a cena con Violetta Bellocchio.
Parte Uno: lei chi è.
Giornalista, scrittrice, blogger, fondatrice di una rivista on line scritta da donne su storie di donne, rigorosamente vere (si chiama Abbiamo le prove e merita farci un giro). Un mese fa ha dato alle stampe il suo secondo libro, appunto ‘Il corpo non dimentica’, in cui racconta i suoi tre anni di alcolismo. E non lascia andare niente, credetemi. Un libro intenso – definizione banale, ma calzante – violento, vero, potente, politicamente scorretto, mai edulcorato, mai vittimista, mai lezioso, mai autocommiserativo, mai banale. E qui mi fermo perché io non sono una critica letteraria. A me è piaciuto, anche se mi ha dato un calcio nello stomaco. Se vi va, leggetevelo e poi fatemi sapere.
In ogni caso, non devo essere l’unica a cui è piaciuto, considerando che dopo sei giorni dall’uscita è partita la prima ristampa ed è entrato ovviamente in classifica. D’altro canto dovevo essere l’unica a non aver visto Violetta Bellocchio presentare il suo libro a “Le Invasioni Barbariche” di Daria Bignardi. (ecco, se per caso non la avete vista nemmeno voi, la trovate qui, dal minuto 57).
Lo dico? Lo dico. La Bellocchio non la conoscevo, finché non mi hanno chiesto di moderare la presentazione del suo libro, aula magna storica del Rettorato, mica pizza e fichi.
Allora ho iniziato a leggere: libro, blog, biografia, recensioni, interviste. Dovevo essere preparata. Ansia da prestazione ma anche voglia di essere all’altezza, di rendere merito a un progetto che avevo scoperto valido. (E, per chiarezza, il progetto era nato prima ancora che uscisse il libro ed era riuscito a coinvolgere l’Europe Direct dell’Università di Siena che lo ha sostenuto fino in fondo)
Parte Due: come ci sono finita a cena.
Il programma prevedeva, appunto, un incontro pubblico all’università – con la partecipazione anche di Silvia Costantino, blogger e critica letteraria che potete leggere qui – e poi cena a Casa Lucherini (organizzazione Topi Dalmata, non era la prima volta, non sarà l’ultima). Che significa? Significa prendere uno scrittore e buttarlo letteralmente nel mezzo a una ventina di persone che gli chiedono liberamente del libro o di quello che passa loro per la testa. È la versione 2.0 della copia firmata in libreria. (Per inciso: secondo me lo scrittore che accetta prende mille punti di stima!).
Quindi la cena non era un mio privilegio in quanto moderatrice dell’incontro: era aperta al pubblico.
Parte Tre: dove voglio arrivare con questa storia.
Non a fare pubblicità al libro di Violetta Bellocchio che non ha bisogno di me. Non a fare pubblicità ai Topi Dalmata (che a scanso di equivoci, sì, sono amici e fanno anche parte di questa redazione ma a farsi pubblicità ci pensano da soli). Voglio arrivare a dire che ci sono piccoli modi intelligenti di fare cultura. Di portare nuove e diverse esperienze anche a Siena. Di confrontarsi con l’esterno. Di creare occasioni di crescita o anche solo di scambio di opinione. Di toccare qualcosa di sconosciuto. Magari accettando una formula ‘diversa’ anche quando apparentemente ci pare tanto strana e ci convince il giusto.
Basta essere curiosi e avere idee. (E anche soldi, è vero, per organizzare la cose ci vogliono i soldi ma è un capitolo che qui non voglio aprire).
Morale della favola: io mi sono divertita.
La prossima volta che c’è un altro scrittore a cena ci torno, perché quando ti ricapita?
Giulia Maestrini
ps-polemico (poteva mancare? no, non poteva). Alla presentazione pubblica del libro, nell’aula magna storica del Rettorato, c’era poca gente. Tante concomitanze, mi direte, lo capisco. E d’altronde che vuoi che sia, era l’occasione per incontrare il caso editoriale del momento (oddio che brutta definizione!), ma tanto vuoi che non ricapiti?
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